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Quando termina il rapporto di lavoro
La risoluzione del rapporto lavorativo con il reciproco accordo non crea problemi. Non sempre, tuttavia, la separazione tra datore di lavoro e lavoratore avviene in maniera consensuale. Ad esempio, la risoluzione immediata è possibile solo in circostanze ben precise, e in presenza di determinate situazioni di vita è del tutto vietata.
Preavvisi e date termini di disdetta
I rapporti lavorativi a tempo indeterminato possono essere disdetti da entrambe le parti contrattuali. La disdetta va motivata per iscritto, se richiesto da una delle parti. I termini legali di disdetta e in particolare i preavvisi dipendono dalla durata del rapporto lavorativo. La legge distingue tra periodo di prova, 1° anno di servizio, 2°-9° anno di servizio e rapporti di lavoro più lunghi.
Se la disdetta è spedita per posta, per determinare il termine di disdetta fa stato la data di ricezione e non quella del timbro postale. In caso di assenza del destinatario e di recapito di un avviso di ritiro, si terrà conto del giorno seguente quello del presumibile ritiro all’ufficio postale. Se il datore di lavoro dà la disdetta durante le vacanze del lavoratore, egli si assume il rischio che la disdetta giunga al destinatario solo dopo il rientro. Occorre quindi calcolare il momento della disdetta a partire dalla possibilità di ritiro. Affinché il termine di disdetta possa essere rispettato, è necessario che la disdetta giunga al suo destinatario l’ultimo giorno del mese che precede il termine di disdetta. Questo calcolo gioca un ruolo per determinare il periodo di protezione dalla disdetta.
Un rapporto di lavoro può essere stato stipulato anche a tempo determinato, cioè avere durata fissa. In questo caso termina inderogabilmente con la scadenza della durata pattuita (Art. 334 CO). Nel contratto a durata determinata, non esiste alcuna protezione dei termini di disdetta, i quali permettono un prolungamento del rapporto di lavoro. I contratti di lavoro a tempo determinato conclusi successivamente, i cosiddetti contratti a catena, sono vietati qualora si cercasse di eludere diverse disposizioni di protezione statuite a favore dei lavoratori come i termini di disdetta. In presenza di accordo fra le parti, un rapporto di lavoro può essere rescisso in qualsiasi momento senza dover rispettare termini e preavvisi. Anche questi accordi contratti di risoluzione possono essere giudicati non validi qualora servano ad eludere le disposizioni di protezione.
Talvolta capita che una delle parti contraenti desidera, per ragioni soggettive, disdire il contratto dopo la sua conclusione ma prima dell’inizio dell’attività lavorativa. Questa situazione non pone problemi quando la controparte non solleva obiezioni e, con accordo reciproco, si rinuncia all’inizio dell’attività. Per contro, secondo la giurisprudenza, se la disdetta è pronunciata unilateralmente, dev’essere rispettato il termine di disdetta. In generale ciò significa che si applica il termine di disdetta applicato durante il periodo di prova. La vecchia giurisprudenza ammetteva che il termine di disdetta decorreva dal momento dell’entrata in funzione. Ora si giudica che tale termine decorre dal ricevimento dalla disdetta; la relazione professionale termina quindi legalmente prima dell’inizio dell’attività. Poiché il lavoratore non è entrato in funzione, egli non ha diritto ad alcuna pretesa salariale.
"Un rapporto di lavoro può essere stato stipulato anche a tempo determinato, cioè avere durata fissa. In questo caso termina inderogabilmente con la scadenza della durata pattuita"
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In generale, i contratti conclusi per un tempo indeterminato stabiliscono un periodo di prova che copre, salvo accordo contrario, il primo mese di lavoro. Con accordo scritto, il periodo di prova può essere accorciato e persino soppresso. Può pure essere previsto un tempo più lungo, ma il periodo di prova non può oltrepassare tre mesi. Solo in caso d’assenza per malattia, infortunio o l’adempimento di un obbligo legale come il servizio militare, il periodo di prova si prolunga automaticamente della durata dell’impedimento. Durante il periodo di prova il termine di disdetta è di sette giorni e decorre dal giorno della sua comunicazione, senza che debba essere osservato un termine di disdetta. In forma scritta è pure possibile prevedere un termine di disdetta più corto o più lungo (art. 335b CO).
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Il termine di disdetta usuale è la fine del mese (se null’altro è previsto). Il termine di disdetta da rispettare è di 1 mese durante il primo anno di servizio, di 2 mesi dal secondo al nono anno e in seguito di 3 mesi. Il termine di disdetta può essere modificato con accordo scritto. Tuttavia il termine di disdetta minimo dev’essere di un mese (un’eccezione è possibile se previsto da un CCL limitatamente al primo anno di servizio, art. 335c CO).
Risoluzione immediata
Esistono delle situazioni nelle quali una delle parti contraenti non può esigere che il rapporto di lavoro possa continuare fino a esaurimento del regolare termine di disdetta. Nel caso in cui esistesse una causa grave, la legge prevede la risoluzione immediata del contratto di lavoro (art. 337 CO).
I motivi principali che possono indurre il datore di lavoro a pronunciare alla risoluzione immediata sono: la conoscenza di un delitto, l’accettazione di bustarelle, l’esercizio di attività accessorie concorrenziali, la violazione importante delle regole di comportamento. Le violazioni dei doveri che sembrano essere meno importanti possono pure giustificare una disdetta in tronco, se il lavoratore era già stato avvisato e minacciato da una risoluzione immediata. Può trattarsi di assenze ingiustificate o il non rispetto ripetuto dell’orario di lavoro o delle prescrizioni o il rifiuto di eseguire un compito assegnato.
Da parte del lavoratore, le cause che possono condurre alla risoluzione immediata sono in primo luogo l’insolvenza del datore di lavoro, i ritardi sul pagamento dello stipendio o la violazione della personalità. Se la disdetta immediata si giustifica ed è imputabile alla parte licenziata, questa deve rispondere alla controparte del danno causato. Se la disdetta immediata è giustificata ma che alla controparte non si può rimproverare nulla o se la colpa è imputabile in ugual misura alle due parti, è compito del giudice valutare liberamente le conseguenze pecuniarie della disdetta immediata, tenendo conto di tutte le circostanze (art. 337b CO). In questo caso, il giudice dispone di un ampio margine di apprezzamento. Egli dovrà giudicare le diverse circostanze in modo oggettivo.
"Esistono delle situazioni nelle quali una delle parti contraenti non può esigere che il rapporto di lavoro possa continuare fino a esaurimento del regolare termine di disdetta. Nel caso in cui esistesse una causa grave, la legge prevede la risoluzione immediata del contratto di lavoro."
Disdetta abusiva
Una disdetta non presuppone necessariamente un motivo e una giustificazione. La legge sanziona unicamente i motivi di disdetta particolarmente urtanti e quelli abusivi. I casi più importanti sono elencati all’art. 336 CO. Si tratta di disdette date:
- per una ragione inerente la personalità, come il sesso, la predisposizione sessuale, il colore della pelle
- perché il destinatario esercita un diritto costituzionale come la libertà d’espressione, la libertà di religione
- solo alfine di impedire il sorgere di pretese giuridiche (per esempio il licenziamento poco prima di una gratifica per anzianità di servizio
- quale reazione al voler fare valere i propri diritti (disdetta per rappresaglia)
- perché il destinatario presta un servizio obbligatorio, militare o nella protezione o servizio civile, ecc
- in ragione di appartenere a un’organizzazione di lavoratori o a causa dell’esercizio di un’attività sindacale
- in ragione di appartenere alla rappresentanza dei lavoratori senza che vi sia un motivo dimostrabile
- per mancato rispetto della procedura di consultazione prevista in caso di licenziamenti collettivi (art. 335 f CO).
La conseguenza di un licenziamento abusivo non è il suo annullamento. Un licenziamento, anche se abusivo, conduce in ogni caso alla conclusione del rapporto di lavoro. La parte toccata può esigere un’indennità fino a sei mesi di stipendio (in caso di licenziamento abusivo collettivo, fino a due mesi). La determinazione dell’importo dell’indennità è spesso difficile da pronosticare perché il tribunale competente deve prendere la sua decisione in base alle circostanze concrete. Considerando la giurisprudenza, si può tuttavia costatare che le indennità si situano piuttosto a un livello basso. D’altronde è relativamente difficile ottenere dal giudice una decisione favorevole, in quanto l’onere della prova è del querelante.
La condizione formale per una richiesta d’indennizzo è l’opposizione. La parte che riceve la disdetta deve, entro il termine di disdetta, comunicare per iscritto alla controparte che si oppone al licenziamento. Dopo la conclusione del rapporto di lavoro deve agire con un’azione giudiziaria entro 180 giorni, pena la decadenza (art. 336b CO).
Protezione dalle disdette in caso di malattia e infortunio
Se un lavoratore è impedito di lavorare per causa di malattia o infortunio non imputabile a sua colpa, si avvia un termine di protezione durante il quale il datore di lavoro non può disdire il rapporto di lavoro. Non è necessaria un’incapacità totale; il termine di protezione vale anche in caso di un’incapacità parziale. Questo divieto di disdire il contratto di lavoro è limitato nel tempo e dipende dalla durata dell’impiego.
Conformemente all’art. 336c CO, il termine di protezione è di:
- 30 giorni durante il primo anno di servizio
- 90 giorni dal secondo al quinto anno di servizio
- 180 giorni dal sesto anno di servizio
Dopo la fine del termine di protezione, il licenziamento ridiventa ammissibile, anche se l’incapacità lavorativa continua.
Un licenziamento pronunciato durante il termine di protezione è nullo e non produce alcun effetto. Se, per contro, il contratto era già stato disdetto in precedenza e l’incapacità lavorativa sopravviene durante il termine di disdetta, questo è sospeso e riprende quando il lavoratore ritrova la capacità lavorativa o dopo la fine del termine di protezione.
Ogni impedimento, anche se diverso, genera un proprio termine di protezione. Per esempio, se dopo aver pronunciato una disdetta capita un’incapacità lavorativa a seguito di malattia con interruzione del termine di disdetta e, prima ancora della continuazione del termine accade una nuova incapacità lavorativa a seguito di un’altra malattia o di un infortunio, la nuova incapacità genera un nuovo periodo di protezione completo. Diversamente, non si avvia un nuovo periodo di protezione, se la nuova incapacità non cade nel periodo di protezione ma nel periodo di continuazione del termine per giungere a fine mese. (art. 336c cpv 3 CO).
"Diversamente, non si avvia un nuovo periodo di protezione, se la nuova incapacità non cade nel periodo di protezione ma nel periodo di continuazione del termine per giungere a fine mese."
Protezione dalla disdetta in gravidanza
Dopo il periodo di prova, il datore di lavoro non può licenziare una lavoratrice incinta. Dall’inizio della gravidanza fino a 16 settimane dopo il parto esiste un termine di protezione (art. 336c cpv 1 litt. c CO). Se il datore di lavoro pronuncia comunque il licenziamento questo è nullo. Se la lavoratrice al momento del licenziamento non è ancora incinta, ma lo diviene durante il termine di disdetta, il licenziamento è valido. Il termine di disdetta è tuttavia sospeso dall’inizio della gravidanza fino alla conclusione del termine del periodo di protezione.
Resta riservato il licenziamento immediato per giusta causa.
"Dall’inizio della gravidanza fino a 16 settimane dopo il parto esiste un termine di protezione."
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